lunedì 31 agosto 2009

Sudamerica: indietro non si torna!


E’ difficile spiegare i motivi profondi della conflittualità latente nei rapporti tra Argentina e Uruguay. Conflittualità che a tratti esplode in episodi eclatanti come nel caso del ponte G.ral San Martin tra le due nazioni a Fray Bentos, bloccato dal 2006 dagli argentini di Gualeguaychù, preoccupati per il possibile inquinamento delle acque del Rio Uruguay da parte della mega-cartiera Botnia (di proprietà finlandese). Controversia che ha avuto per conseguenza il deterioramento dei rapporti politici tra i due stati, culminato con il veto dell’Uruguay all’elezione dell’ex presidente argentino Nestor Kirchner alla presidenza dell’UnaSur. Questa conflittualità ha radici che affondano nel passato, perché il piccolo Uruguay, stretto tra i giganti Brasile e Argentina, ha dovuto lottare per conquistare e mantenere la sua indipendenza, cui ha contribuito anche Giuseppe Garibaldi durante la difesa di Montevideo dagli argentini nel 1842, con i 500 volontari italiani in camicia rossa.

Ovviamente anche l’Uruguay ha la sua parte di responsabilità nel contenzioso con l’Argentina. Da sempre sospettato di essere un paradiso fiscale, grazie al segreto bancario, bassa imposizione e libera circolazione dei capitali; utilizzato da esportatori argentini per triangolazioni commerciali con altri paesi, evadendo così il fisco. Una volta veniva definito addirittura la Svizzera del Sudamerica. Bisogna dire che l’attuale governo di sinistra in UY ha iniziato ad allineare il paese alle regole del MercoSur, introducendo l’IRPF, impegnandosi a rimuovere il segreto bancario ed a collaborare più fattivamente con il fisco degli altri paesi. Tuttavia tra gli uruguayani si avverte questo odio-amore per i cugini argentini, che molti percepiscono come presuntuosi e arroganti, eppure così necessari alla loro economia, basti pensare che in Argentina vivono 300.000 uruguayani residenti (la popolazione dell’Uruguay è di 3.5 milioni, di cui 600.000 emigrati all’estero). Mentre, ai miei occhi di italiano, sembra difficile incontrare nel mondo due popoli con maggiori similitudini. L’Argentina è il paese con il più alto numero di immigrati italiani, l’Uruguay è quello con la più alta percentuale di discendenti italiani al mondo. Purtroppo molti argentini considerano l’Uruguay solo un luogo di vacanze d’elite e trattano gli uruguayos con un senso di superiorità, quando proprio non di disprezzo, nel caso di rapporti con l’autorità.

Nonostante queste “piccole beghe”, l’America Latina sta conoscendo un grande periodo di riscatto civile e democratico. Liberato finalmente dal tallone USA, che dalla dottrina Monroe in poi l’hanno sempre considerato il loro giardino di casa, il Sudamerica sta rapidamente procedendo verso un’integrazione politica ed economica impensabile fino a pochi anni fa. Sotto la spinta progressista di maggioranze di sinistra e di centrosinistra, si sono affermati leader come Lula, Morales, Correa, Chavez, Vazquez, Bachelet, Ortega, Lugo e Cristina Fernandez, nei principali paesi del Sud America (una volta segretamente uniti nella famigerata Operacion Condor), che hanno spinto per un avvicinamento con Cuba e il superamento dell’embargo, smarcandosi sempre più dal giogo statunitense. Grandi progressi sono stati fatti, relativamente in pochi anni, in diversi settori e, pur essendo ancora un continente in via di sviluppo con enormi contraddizioni, l’America Latina ha tutte le potenzialità per intraprendere un percorso autonomo ed indipendente di progresso, più sensibile agli interessi dei popoli di quanto lo sia stato quello imposto dallo sfruttamento post-coloniale delle multinazionali durante gli anni delle dittature militari e dei governi della destra liberista. Se c’è una regione del mondo dove il capitalismo globalizzato è stato costretto ad arretrare un po’ dopo la crisi è proprio in Sud America, vedasi le nazionalizzazioni operate negli ultimi mesi in Argentina e ancor prima in Venezuela. E’ con grande felicità che apprendo della candidatura di un ex tupamaro e detenuto politico nei 13 anni della dittatura, alla presidenza dell’Uruguay. Una soddisfazione particolare per me, che sfilavo nei cortei degli anni settanta in Italia insieme a migliaia di altri compagni, partecipando alla lotta del popolo cileno prima e argentino di lì a poco. Gridando slogan montoneros e tupamaros ed, in seguito ancora, sandinisti. Come mi appaiono lontani e cupi quei tempi in cui l’America Latina era stretta in una morsa di violenza e terrore, raccontatami dal mio amico Marcelo, fuggito da Buenos Aires nel 1980, mentre gl’insegnavo i riff blues sulla chitarra e lui a me gli accordi di samba. Decine di migliaia di uomini e donne sono stati uccisi e centinaia di migliaia perseguitati, incarcerati e costretti all’esilio. Oggi non passa mese senza la notizia di qualche condanna per gli aguzzini d’un tempo ed è indicativo che contestualmente all’elezione del tupamaro Pepe Mujica, in Uruguay si voti anche per l’abolizione della Ley de Caducidad, sorta di amnistia per tutti i reati commessi dalla dittatura. Così come è indicativo che nessun governo latinoamericano abbia voluto sporcarsi col recente golpe in Honduras, sospendendo quel paese dagli organismi regionali. E, per ultimo, l’opposizione di tutti i paesi dell’area all’installazione di 7 basi militari USA in Colombia. Come dire: indietro non si torna!

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