martedì 3 novembre 2009

PIGS




Voglio cominciare questo post con la parola PIGS, che come tutti sanno in inglese significa porci, e che ho visto per la prima volta usata come acronimo (P.I.G.S.) in un blog finanziario che trattava del Rischio Sovrano, tra i risultati di una ricerca lanciata su Google con le parole chiave: CDS sovereign risk Italy. La frase esatta era: “PIGS (Portugal, Italy, Greece, Spain) have historically had high unemployment and other fiscal problems. This is not news. What is news is that they are no longer able to debase like they used to in the past b/c of the EU treaty”. Traduzione: I PORCI (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) hanno storicamente sempre avuto alta disoccupazione ed altri problemi fiscali. Non è una novità. La novità è che non possono più svalutare come erano soliti fare in passato, prima dell’Euro. Come dire: finanziariamente l’Italia è tra i porci.

Ma anche tra i porci, siamo i più maiali. Cercavo qualche informazione riguardo il Rischio Sovrano Italia, l’indice con cui viene valutata la probabilità di una bancarotta dello stato, e su un altro sito ho trovato il seguente dato di ottobre, riguardante i CDS: “Italy is now the most widely traded sovereign CDS in the world. Outstanding contracts of Italian CDS stand now at $205bn compared with $148bn a year ago”. Traduzione: Il CDS sul rischio sovrano Italia è attualmente quello più largamente trattato al mondo. Il valore dei CDS italiani si attesta ora a $205bn contro i $148bn di un anno fa. Aggiungo io che questo valore è di gran lunga quello più alto tra tutti i CDS sovrani.

Cosa sono i CDS? I Credit Default Swap sono una sorta di assicurazione che un creditore stipula per garantirsi contro il fallimento del debitore. In pratica sono degli strumenti finanziari emessi da grandi istituti e banche d’affari. Coprono persino i rischi di fallimento degli stati nazionali e quindi vengono acquistati dai possessori di titoli del debito pubblico (bot, cct e quant’altro). Ecco l’informazione che cercavo, l’Italia è il paese al mondo con il più alto rischio di bancarotta!

Ed ora beccatevi quest’articolo di Maurizio Ricci su www.repubblica.it del 3/11/2009.

Wall Street, pericolo "bolla"
E i banchieri tornano a festeggiare

A Natale, il re degli gnomi di Wall Street - Goldman Sachs - metterà sotto l'albero dei suoi 30 mila dipendenti una busta che contiene, in media, poco meno di 800 mila dollari a testa. Il premio per un anno di superlavoro: i mercati, infatti - tutti i mercati: borse, petrolio, oro, materie prime, valute - stanno andando a mille. Eppure, l'economia reale è in affanno: la disoccupazione cresce, le famiglie tirano la cinghia, le imprese tagliano, tutti in attesa di una ripresa che stenta a materializzarsi nitidamente. Qualcosa non torna.

Dopo il grande tsunami di un anno fa, che ha quasi riportato il mondo ai tempi della Grande Depressione, doveva essere un'era di pentimento e cilicio, di ravvedimento e virtù, di regole stringenti e appetiti misurati. Castigate e imbrigliate, banche e finanziarie dovevano tornare all'umile compito di alimentare l'ordinato sviluppo dell'economia. Beh, riaprite gli occhi: di tutto questo non c'è traccia. Le regole non sono arrivate, i soldi - un fiume di soldi, sotto forma di prestiti, garanzie, tassi stracciati - sì. E la finanza da corsa ha ripreso il largo: i suoi uomini sono tornati a spartirsi un ricco bottino - sotto forma di bonus - e a puntare i soldi in cassa, negati a famiglie e imprese, su scommesse sempre più rischiose nei mercati. Il risultato è che, probabilmente, siamo seduti di nuovo su un'unica gigantesca bolla, che potrebbe esplodere in qualsiasi momento.

La madre di tutte le bolle: nel senso che, invece delle singole bolle (della casa, dei subprime, dei derivati, del credito, del petrolio) del passato appena trascorso, questa è un'unica bolla che le riassume tutte: la bolla del dollaro. Il fatto che sia una bolla al contrario (il dollaro scende) non deve trarre in inganno: è proprio la discesa del dollaro che gonfia, tutte insieme, le altre bolle.

Prendete il bilancio di una grande banca internazionale, come Barclays. Nel secondo trimestre, il settore prestiti alle famiglie ha visto i profitti ridursi del 61 per cento, quello commerciale del 42 per cento. Il ramo affari, Barclays Capital, li ha raddoppiati. Ancora una volta, l'esempio Goldman Sachs vale per tutti: quasi 14 miliardi di dollari di ricavi nel secondo trimestre. Due terzi di questi ricavi vengono dal settore "trading", cioè le transazioni/speculazioni, spesso condotte in proprio. Metà dal solo settore reddito fisso, materie prime, valute, cioè, in concreto, per la grande banca di Wall Street, petrolio e derivati. E' la controprova della frenetica attività dei mercati, dopo il grande gelo dell'autunno 2008. La borsa di Wall Street che, un anno fa, guardava agghiacciata l'abisso di quota 7.000, oscilla, oggi, intorno a 10.000 e molti ritengono possibile che l'indice Dow Jones tocchi presto 11.000. Il petrolio che, a febbraio, era appena sopra i 30 dollari al barile, oggi è vicino agli 80 dollari: ha guadagnato il 25 per cento solo negli ultimi 3 mesi. L'oro, a 1.055 dollari l'oncia, balla intorno ad un record storico. Rame, granturco, gomma hanno messo a segno rialzi cospicui. L'indice Reuters-Jefferies dei metalli è tornato ai livelli di settembre 2008 ed è salito del 50 per cento, rispetto ad inizio anno. Lo stesso indice, per il totale delle materie prime, che era a 211 a febbraio, è arrivato a 260 questa estate.

Molto poco, nell'economia reale, nel rapporto fondamentale fra domanda e offerta, sembra giustificare questa corsa dei mercati. L'economia cinese ha ripreso a camminare e anche in Occidente ci sono segnali di risveglio, ma l'impulso è troppo modesto per giustificare queste tensioni sul mercato delle materie prime. L'Agenzia internazionale dell'energia ha appena rivisto al rialzo le sue previsioni sulla domanda di greggio, ma l'incremento - appena di qualche centinaio di migliaia di barili al giorno - può essere tranquillamente assorbito dall'offerta dei paesi produttori. Anche le borse appaiono largamente sopravalutate. Andrew Smithers, un analista di borsa, ha calcolato che il rapporto fra prezzo dell'azione e utile dell'azienda che l'ha emessa è schizzato a livelli inimmaginabili. Nell'indice S&P 500 di Wall Street questo rapporto è a quota 142. Ovvero l'azione viene trattata ad un prezzo pari a 142 volte gli utili. Non solo è un record, ma quello precedente (47) è un terzo dell'attuale. Anche aggiustando il calcolo per l'attuale situazione di recessione, Smithers conclude che le azioni sono sopravalutate di circa il 40 per cento, rispetto alla media storica.

C'è un elemento inedito in questa corsa dei mercati: stanno salendo tutti insieme. O, se preferite, tutte le bolle si stanno gonfiando contemporaneamente. Gli esperti la chiamano "correlazione". Osserva Olivier Jakob, analista a Petromatrix, che i suoi colleghi che si occupano di borse sostengono che i loro mercati sono condizionati dal petrolio, mentre i colleghi che si occupano di petrolio dichiarano che a muovere il petrolio sono le borse. In effetti, se mettete, come fa Jakob, su un grafico le oscillazioni dei futures sul petrolio e dei futures sul Dow Jones, vedete che i due valori si muovono all'unisono, con scostamenti appena percettibili. Questa correlazione, sottolinea Jakob, "non ha senso, ma se non comprate e vendete seguendola, state solo fornendo liquidità a chi la segue". In altre parole, l'effetto-gregge, per cui tutti gli operatori si muovono nella stessa direzione, è ancora un motore vitale dei mercati. La novità è che agisce contemporaneamente sui diversi mercati e questo può essere molto pericoloso. "Il problema - secondo Jakob - è che l'economia reale funziona su principi diversi dai giochini degli operatori al computer e questa correlazione non consentirebbe ad una ripresa economica di materializzarsi".

Per esempio, un indice Dow Jones a 11.000, calcola Jakob, in base a questa correlazione corrisponde al petrolio a 100 dollari al barile e, allora, addio ripresa. "E' una bomba a tempo - conclude - come era una bomba a tempo quella dei subprime".

In realtà, è possibile che la bomba di Jakob non arrivi ad esplodere, perché ne esplode un'altra - più grossa - prima. Cos'è, infatti, che sta gonfiando i mercati tutti insieme? Anzitutto, l'enorme massa di liquidità pompata, praticamente a costo zero, dalle banche centrali verso banche e finanziarie. Ma non ci sono solo tanti soldi a tasso zero. Per rianimare i mercati, le banche centrali comprano anche titoli di ogni genere. La Fed ha appena annunciato un programma di 1.800 miliardi di dollari, per comprare titoli di Stato e altri titoli semi-pubblici. Questi acquisti riducono la volatilità dei prezzi di questi titoli. In breve: banche e finanziarie possono finanziare, gratis, gli acquisti di titoli a rischio praticamente nullo.
L'altro elemento è la costante discesa del dollaro. Di suo, la discesa del dollaro, la valuta in cui sono quotati oro, petrolio e materie prime in genere, spinge naturalmente in alto, per contrappeso, le quotazioni. Ma, osserva Nouriel Roubini, oggi questa discesa del dollaro si incrocia in una miscela micidiale con la politica del denaro facile della Fed. Le banche che si indebitano (a breve) a tasso zero in dollari per poi reinvestirli sui mercati internazionali si trovano, grazie alla contemporanea svalutazione della moneta americana, a godere di tassi negativi anche del 10- 20 per cento, visto che poi dovranno restituire dollari che valgono meno. E questo le spinge ad indebitarsi sempre di più, per investimenti sempre più arrischiati.
Il problema, osserva Roubini, è che prima o poi, la Fed dovrà stringere i cordoni della liquidità. Allo stesso tempo, la discesa del dollaro non può continuare all'infinito. Basta che il costo di finanziarsi in dollari torni a zero, invece che vantaggioso del 10-20 per cento, perché banche e finanziarie debbano precipitosamente liquidare i loro rischiosi investimenti.

E proprio perché le bolle si sono gonfiate tutte insieme, si sgonfieranno tutte contemporaneamente. Sarà, dice Roubini, "il più grosso coordinato crac mai visto". Più si gonfia la bolla, più violento sarà lo scoppio.



Come si vede i porci continuano ad ingrassarsi e continuano ad essere più uguali degli altri animali, proprio come ai tempi di Orwell.

Giovedì prossimo parto nuovamente alla volta del Sudamerica, spero di sentire un po’ meno questo tanfo di porcile che sta appestando l’aria in Italia.